di Attilio Pinna


Io lo chiedo. Il principio del consenso nei rapporti sessuali

Da alcuni mesi Amnesty International sta conducendo la campagna “Io lo chiedo” ovvero un appello al Ministro della Giustizia perchè venga revisionato l’articolo 609-bis del codice penale affinchè qualsiasi atto sessuale non consensuale sia punibile.

L’articolo in questione stabilisce che “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”.

Ci troviamo dunque di fronte ad una definizione di stupro basata esclusivamente sull’uso della violenza, della forza, della minaccia di uso della forza o della coercizione, senza alcun riferimento al principio del consenso, così come previsto dall’articolo 36 della Convenzione di Istanbul, ratificata dal nostro paese nel 2014.

La convenzione di Istanbul

La Convenzione di Istanbul è un trattato internazionale innovativo e giuridicamente vincolante adottato dal Consiglio d’Europa – la principale istituzione intergovernativa del Continente in materia di difesa e rafforzamento dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto –  che persegue l’obiettivo di sradicare la violenza contro le donne, la violenza domestica e ha una portata globale.

Qualsiasi Stato può aderirvi o utilizzarla come modello per la legislazione e le politiche nazionali e regionali. All’articolo 36 prevede che  “Le Parti (del trattato n.d.r.)  adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per perseguire penalmente i responsabili dei seguenti comportamenti intenzionali: a) atto sessuale non consensuale con penetrazione vaginale, anale o orale compiuto su un’altra persona con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto; b) altri atti sessuali compiuti su una persona senza il suo consenso; c) il fatto di costringere un’altra persona a compiere atti sessuali non consensuali con un terzo.

Il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto”.

Il consenso dunque deve essere libero e revocabile, esplicito o implicito.
Nel primo caso si avrà un consenso manifestato a parole. Nel secondo caso, più complesso, il consenso si evince dai segnali comportamentali della persona, dall’atteggiamento, dalla situazione, dal contesto. Per consenso in sostanza bisogna intendere il rispetto dell’altro e il rispetto dei limiti fisici e psicologici di ognuno.

Più precisamente, il consenso è una scelta che si fa senza pressioni, manipolazioni o senza l’influenza di droghe o alcool.

E’ reversibile: chiunque può cambiare opinione, in qualsiasi momento.

E’ informato: si può acconsentire a qualcosa solo se si ha un quadro della situazione. Per esempio, se qualcuno dice che userà il preservativo, ma durante il rapporto lo toglie (pratica conosciuta come stealthing), non c’è consenso pieno.

E’ specifico: dire sì a una cosa (scambiarsi un bacio) non vuol dire aver detto sì ad altre (avere un rapporto sessuale).

I ritardi del legislatore italiano

L’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul con la legge 27 giugno 2013 n. 77 ma in realtà le introduzioni fatte dalla legge 77/2013 sono state solo timide modifiche alle disposizioni già presenti. Infatti, si è preferito introdurre circostanze aggravanti e nuovi calcoli di pena invece di rileggere l’intera legislazione attraverso la lente della Convenzione.  

A distanza di 10 anni nulla è cambiatoAnzi il maggiore problema attuale è la costante mancanza della definizione di consenso in ambito sessuale nonché la sua grande assenza nel panorama delle norme che regolano la violenza sessuale.

Confrontando le disposizioni della Convenzione e del Codice penale si nota una discrepanza importante e gravenell’art. 36 della Convenzione si fa espresso riferimento al consenso come criterio di identificazione della violenza sessuale e definito come “libera manifestazione della volontà della persona”, mentre nell’art. 609-bis c.p. si fa riferimento a criteri di “violenza, minaccia, abuso o costrizione”.

A tal riguardo, risultano emblematici i moniti espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella pronuncia “M.C. v. Bulgaria” del 4 dicembre 2003. I giudici di Strasburgo hanno ricordato che, storicamente, la prova di una condotta violenta da parte del molestatore, così come di una resistenza da parte della vittima, sono stati a lungo considerati requisiti tipici del reato di violenza sessuale in molti paesi ma ad oggi gli stessi non possono più essere considerati tali dagli Stati Membri, cosicché ogni riferimento alla forza fisica dovrebbe essere rimosso dal diritto positivo.

Secondo la Corte, contrariamente a quanto si registra negli ordinamenti di alcuni paesi ove la nozione di violenza sessuale continua a contenere riferimenti alla violenza o alla minaccia usata dall’agente, è la mancanza di consenso e non la presenza di violenza a dover caratterizzare tale reato.

Più nello specifico, la Corte ha evidenziato che solo mediante la criminalizzazione di tutti gli atti sessuali non consensuali – indipendentemente dalla resistenza espressa dalla persona offesa – è possibile garantire un’effettiva tutela per le donne vittime di violenza e, in tal senso, tutte le legislazioni nazionali dovrebbero quindi  implementare le proprie previsioni interne.

Il principio del consenso nella giurisprudenza italiana

Nonostante il ritardo del legislatore, in Italia la giurisprudenza sembra aver ormai acquisito il principio del consenso nei rapporti sessuali.
Da questo punto di vista sono emblematiche alcune sentenze in materia di consenso al rapporto sessuale sotto l’effetto di sostanze alcoliche, tema molto complesso che ha in tempi recenti preso importanza nel dibattito pubblico a causa di alcuni noti fatti di cronaca.

Ed infatti la Corte di Cassazione con la sentenza 45589/2017 ha  affermato che uno stato di infermità psichica può essere determinato dall’assunzione di bevande alcoliche “anche se la parte offesa ha volontariamente assunto alcol e droghe, rilevando solo la sua condizione di inferiorità psichica o fisica seguente all’assunzione delle dette sostanze”.

Difatti la condizione della vittima, a prescindere da chi l’abbia provocata, può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali del colpevole. Si sottolinea poi che “lo stato di ubriachezza (e anche di assunzione di sostanze stupefacenti) da solo (nei limiti di una “sbronza ordinaria”) non configura certamente una condizione di inferiorità fisica o psichica tale da annullare un consenso al rapporto sessuale”. Difatti ciò che rileva è la presenza nella condotta del soggetto attivo delle azioni costituite dall’induzione e dall’abuso delle condizioni di ubriachezza in cui si trova il soggetto passivo.

È in una precedente sentenza che la Corte specifica che l’induzione si realizza quando, con un’opera di persuasione spesso sottile e subdola, l’agente spinge o convince il partner a sottostare ad atti che diversamente non avrebbe compiuto. L’abuso, a sua volta, si verifica quando le condizioni di menomazione sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in situazione di difficoltà, viene ad essere ridotta al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualità altrui.

In questa pronuncia la Corte sottolinea come affermare che quando si è bevuto non si è mai in grado di prestare consenso creerebbe un precedente pericoloso che porterebbe a riqualificare un numero impressionante di episodi come violenza. Una “sbronza ordinaria” da sola non porta a configurare un reato di violenza sessuale. Certamente il centro dell’accertamento deve essere la condizione della persona che presta il consenso e l’intenzione dell’altra persona di sfruttare tale condizione al fine di soddisfare i propri impulsi sessuali.

Necessità di una riforma del codice penale

In definitiva se risulta ormai pacifico che il consenso della vittima non possa essere dedotto da elementi diversi dal consenso stesso, il quale deve essere libero di formarsi ed esprimersi chiaramente, appare auspicabile una riforma dell’art. 609 bis del codice penale volta ad inserire nella disposizione stessa la locuzione «contro il consenso della persona offesa», al fine di sciogliere ogni ulteriore margine di dubbio circa la sua interpretazione.

La violenza contro le donne rimane una tra le violazioni dei diritti umani più diffuse al mondo. Riguarda  le donne di ogni estrazione sociale, indipendentemente dal contesto culturale, religioso, economico, sociale o geografico. In Europa non si fa eccezione.

Quotidianamente molte donne del continente subiscono violenze psicologiche e fisiche,  molestie, atti persecutori, vengono stuprate, sono mutilate, costrette al matrimonio dalla famiglia o sterilizzate contro la loro volontà.  

Anche per questo è fondamentale sostenere Amnesty International nella sua campagna e sottoscrivere il suo appello.

 Informati e firma l’appello qui.

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