Di Chiara Cuccuru. Responsabile del progetto: Anna Alberti.
Introduzione
Il presente contributo raccoglie le pronunce della Corte costituzionale, emesse nel periodo 2023-2025, che interessano la Regione autonoma della Sardegna. L’analisi mira a illustrare in modo sistematico i principi di diritto e le rationes decidendi sottese a ciascuna decisione, offrendo un quadro aggiornato del contenzioso tra Stato e Regione.
Nel complesso della giurisprudenza esaminata, assumono particolare rilievo alcune pronunce che hanno inciso su nodi cruciali dell’ordinamento costituzionale. La sentenza n. 192 del 2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge sull’autonomia differenziata (cd. Legge Calderoli), riaffermando che il trasferimento di competenze ex art. 116, terzo comma, Cost., deve riguardare “specifiche funzioni” e non intere materie, ed essere preceduto dalla determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni. A tale pronuncia si collega strettamente la sentenza n. 10 del 2025, con cui la Corte ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum abrogativo sulla medesima legge. La decisione si fonda sull’oscurità del quesito, determinata dall’effetto demolitorio della precedente sentenza, e sul rischio che la consultazione si trasformasse in un improprio voto sull’art. 116, terzo comma, della Costituzione.
Di notevole interesse è anche la sentenza n. 95 del 2024, che ha dichiarato inammissibile gran parte delle censure mosse dalla Regione Sardegna per genericità e insufficienza della motivazione, censurando la valutazione “atomistica” degli interventi finanziari statali. In tale occasione, la Corte ha inoltre chiarito i limiti del principio di leale collaborazione, escludendone l’applicazione in materie, come la “perequazione delle risorse finanziarie”, attribuite alla competenza esclusiva dello Stato. Infine, la sentenza n. 28 del 2025 ha affrontato il conflitto tra legislazione statale e regionale in materia di transizione energetica, dichiarando l’illegittimità di una moratoria regionale sui procedimenti autorizzativi e ribadendo la necessità per le Regioni di operare entro un quadro di regole omogenee in settori di interesse nazionale
Le sintesi che seguono offrono un’analisi dettagliata di queste e delle altre decisioni, al fine di delineare le linee evolutive della giurisprudenza costituzionale in relazione all’autonomia speciale sarda.
Sintesi quantitativa delle pronunce (2023-2025)
| Tipologia di Giudizio | Numero totale pronunce | Ricorrenti/Promotori |
|---|---|---|
| Sentenze in via principale | 18 | Ricorso dello Stato: 16 Ricorso della Regione Sardegna: 1 Ricorsi congiunti (inclusa Sardegna): 1 |
| Ordinanze in via principale | 3 | Ricorso dello Stato: 2 Ricorso delle Regioni (Toscana e Sardegna): 1 |
| Sentenze su ammissibilità referendum | 1 | Promotori: Elettori e 5 Regioni (inclusa Sardegna) |
| Sentenze su conflitto di attribuzione | 1 | Ricorrente: Regione autonoma della Sardegna |
| Totale Complessivo | 23 |
SENTENZE GIUDIZI IN VIA PRINCIPALE
Sentenza n. 57 del 2023
La sentenza n. 57 del 2023 della Corte costituzionale riguarda il ricorso promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri contro diverse disposizioni della legge della Regione autonoma Sardegna n. 6 del 2022, che disciplina il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa industriale. Il Governo lamentava che varie previsioni della legge regionale eccedessero le competenze attribuite alla Regione dallo statuto speciale e invadessero ambiti di competenza statale, in particolare quelli relativi all’ordine pubblico e sicurezza, alla tutela della salute e alla disciplina finanziaria.
In primo luogo, la Corte ha ritenuto non fondate le censure relative all’articolo 1, comma 5, della legge regionale, che delimita l’ambito di applicazione della legge alla canapa con un contenuto di THC entro i limiti previsti dalla normativa statale ed europea. La Corte ha chiarito che il legislatore regionale si riferisce in modo inequivoco solo alle piante e non ai prodotti ricavati da esse, attenendosi così al quadro normativo nazionale e comunitario.
Per quanto riguarda le disposizioni che promuovono attività di sperimentazione, ricerca, formazione e impiego della canapa in diversi settori (alimentare, cosmetico, farmacologico), la Corte ha dichiarato alcune questioni inammissibili per difetto di motivazione (in particolare quella relativa all’impiego dei semi per uso alimentare), mentre ha ritenuto non fondate le censure relative ad altre previsioni. La Regione, secondo la Corte, non ha introdotto alcuna disciplina autorizzatoria autonoma né ha interferito con la normativa statale in materia di sostanze stupefacenti.
Diversamente, la Corte ha accolto parzialmente le doglianze relative all’articolo 3, nella parte in cui la legge regionale include tra i prodotti ottenibili dalla coltivazione della canapa industriale le piante intere, i rami secchi e le polveri derivate dalla loro lavorazione. Tali prodotti, non previsti dalla legge statale n. 242 del 2016, ricadono nell’ambito della disciplina sugli stupefacenti e la loro inclusione da parte del legislatore regionale ha comportato un’invasione della competenza legislativa esclusiva statale.
In merito all’articolo 8, che riguarda la promozione della coltivazione della canapa terapeutica da parte di soggetti pubblici e privati, la Corte ha respinto le censure del Governo, ritenendo che la norma abbia natura meramente promozionale e non si sovrapponga alla disciplina statale in tema di autorizzazioni. Analogamente, ha escluso il contrasto con l’articolo 81 della Costituzione per quanto riguarda la disposizione finanziaria contenuta nell’articolo 9 della legge regionale, poiché la norma si limita a prevedere interventi nei limiti delle risorse disponibili, senza generare automaticamente nuovi oneri per il bilancio.
Sentenza n. 60 del 2023
La sentenza n. 60 del 2023 della Corte costituzionale riguarda l’impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri di due disposizioni della legge della Regione autonoma Sardegna n. 9 del 2022, concernenti l’aumento del numero massimo di mandati consecutivi consentiti ai sindaci e una deroga alle modalità di accesso all’albo dei segretari comunali e provinciali.
La Corte ha dichiarato entrambe le disposizioni costituzionalmente illegittime, ritenendo che abbiano violato principi costituzionali fondamentali, in particolare quelli contenuti negli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione, oltre ai limiti imposti alla competenza statutaria regionale dall’articolo 3, lettera b), dello Statuto speciale della Sardegna.
La prima norma impugnata (art. 1 della legge reg. n. 9/2022) stabiliva che i sindaci dei comuni sardi con popolazione fino a 3.000 abitanti potessero svolgere fino a quattro mandati consecutivi, e quelli dei comuni fino a 5.000 abitanti fino a tre. Secondo la Corte, questa previsione si poneva in contrasto con la disciplina statale vigente, che fissava in tre e due i limiti rispettivamente per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e per gli altri. La Corte ha affermato che il limite ai mandati consecutivi, essendo una restrizione al diritto di elettorato passivo, deve essere stabilito a livello nazionale e secondo criteri uniformi, proprio per garantire l’eguaglianza sostanziale nell’accesso alle cariche elettive. La Regione, pur dotata di competenza primaria in materia di ordinamento degli enti locali, non può incidere su un diritto fondamentale se non per ragioni eccezionali e comprovate, che nel caso di specie non ricorrevano. Le condizioni territoriali addotte dalla Regione (spopolamento, difficoltà a reperire candidati, attuazione del PNRR) non sono state ritenute idonee a giustificare la deroga.
La seconda disposizione censurata (art. 3 della medesima legge) consentiva, in via transitoria e fino al 31 dicembre 2024, l’iscrizione alla sezione regionale dell’albo dei segretari comunali e provinciali anche ai funzionari e istruttori direttivi che, in possesso di determinati requisiti, avessero ricoperto il ruolo di vicesegretario, senza dover superare il concorso nazionale previsto dalla normativa statale. Anche questa norma è stata ritenuta costituzionalmente illegittima. Secondo la Corte, l’accesso a ruoli che implicano funzioni di garanzia all’interno della pubblica amministrazione deve avvenire mediante pubblico concorso, in ossequio ai principi di imparzialità, buon andamento e parità di accesso ai pubblici uffici (artt. 3, 51 e 97 Cost.). La deroga introdotta dalla Regione ha creato un’irragionevole disparità di trattamento rispetto ai soggetti che, in altre regioni, accedono all’albo tramite concorso, e non può essere giustificata neppure dal carattere temporaneo della misura.
Sentenza n. 26 del 2024
La sentenza n. 26 del 2024 della Corte costituzionale riguarda un ricorso promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri contro l’art. 1, comma 1, della legge della Regione autonoma della Sardegna n. 5 del 2023, che autorizza, in via temporanea e su base volontaria, l’innalzamento del numero massimo di assistiti per ciascun medico di medicina generale operante in aree disagiate, fino a 1.800 pazienti, nelle more della stipula dell’Accordo integrativo regionale (AIR).
Il Governo contestava questa disposizione ritenendola lesiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile (art. 117, co. 2, lett. l), Cost.), dal momento che incide su un aspetto del rapporto convenzionale tra medici e Servizio sanitario nazionale – il numero massimo di assistiti – che la normativa statale rimette alla contrattazione collettiva.
La Regione Sardegna, dal canto suo, ha giustificato l’intervento legislativo con l’esigenza urgente di garantire l’assistenza primaria nelle aree periferiche e scarsamente servite del proprio territorio, anche alla luce di carenze strutturali nel personale medico, accentuate da pensionamenti e dalla ridotta attrattività della medicina generale.
La Corte ha rigettato le censure del Governo, dichiarando le questioni non fondate. Ha affermato che la disposizione regionale impugnata, benché incida su un aspetto del rapporto convenzionale, persegue in via prioritaria una finalità organizzativa strettamente connessa alla tutela del diritto alla salute, costituzionalmente garantito dall’art. 32 Cost. Applicando il criterio di prevalenza, ha ricondotto la norma alla materia della tutela della salute, di competenza legislativa concorrente, e non all’ordinamento civile.
La Corte ha anche escluso la violazione dell’art. 3 Cost., evidenziando che non si determina alcuna irragionevole disparità di trattamento, e ha ritenuto assorbite le ulteriori censure statutarie, che risultavano prive di una autonoma motivazione.
Sentenza n. 68 del 2024
Con questa pronuncia, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute nella legge della Regione autonoma della Sardegna n. 1 del 2023, ossia la legge di stabilità regionale, nella parte in cui includeva nel bilancio sanitario spese non strettamente riconducibili alla tutela della salute. In particolare, si trattava di finanziamenti destinati all’Università di Cagliari e all’Università di Sassari per la realizzazione di corsi di formazione gratuita per operatori socio-sanitari e per progetti formativi in ambito veterinario, oltre che di fondi stanziati per attività di disinfestazione e contrasto agli insetti nocivi e ai parassiti, attribuite alle province.
Tutte queste voci di spesa erano state imputate alla cosiddetta “Missione 13 – Sanità” del bilancio regionale, riservata agli interventi propri del Servizio sanitario regionale. La Corte ha ritenuto che tale imputazione violasse l’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica.
Secondo la Corte, le Regioni non possono includere nella spesa sanitaria risorse destinate a finalità che, pur se contigue o indirettamente connesse alla salute, non rientrano direttamente nel perimetro funzionale del Servizio sanitario regionale. Operazioni di questo tipo alterano infatti la corretta rappresentazione delle risorse effettivamente impiegate nel settore sanitario, compromettendo la trasparenza e l’uniformità che devono caratterizzare i bilanci pubblici, anche in funzione del monitoraggio e del rispetto degli equilibri finanziari nazionali.
Sentenza n. 95 del 2024
Con la sentenza n. 95 del 2024, la Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 494, 495 e 496, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio 2023), promosse in via principale dalla RAS. Le norme impugnate provvedevano all’istituzione di un fondo destinato a finanziare interventi per la mobilità aerea dei cittadini residenti in Sicilia e Sardegna.
La Corte ha preliminarmente dichiarato l’inammissibilità di un’ampia parte delle censure per genericità e insufficienza della motivazione. La Regione non avrebbe fornito una dimostrazione analitica e puntuale, supportata da dati di bilancio specifici, dell’irreparabile pregiudizio che sarebbe derivato dall’asserita inadeguatezza delle risorse. Inoltre, la Corte ha statuito che la congruità di uno stanziamento non può essere scrutinata isolando la singola norma dal contesto normativo complessivo. Il ricorso ha omesso di considerare il complesso degli strumenti finanziari, sia statali sia europei, come il Fondo perequativo infrastrutturale, il Piano nazionale di ripresa e resilienza e i Fondi strutturali, che concorrono a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità. Analoghe carenze motivazionali hanno condotto all’inammissibilità delle questioni relative alla violazione dell’art. 116 e 117 della Costituzione, poiché la Regione si è limitata a enunciare i parametri senza articolare una specifica argomentazione sulla loro lesione.
Superato il vaglio preliminare, la Corte ha proceduto all’esame nel merito delle restanti questioni, ritenendole non fondate. È stata respinta la censura di violazione del giudicato costituzionale formatosi con la sentenza n. 6/2019. La Corte ha operato una distinzione netta, qualificando l’intervento in esame come un intervento settoriale e limitato, non riconducibile alla più ampia problematica di programmazione finanziaria che aveva caratterizzato la precedente pronuncia.
Inoltre, l’istituzione del fondo è stata ricondotta all’ambito della “perequazione delle risorse finanziarie”, materia che l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Poiché la disciplina afferisce a una competenza statale esclusiva e non è stato dimostrato un “inestricabile intreccio” con materie di competenza regionale, la Corte ha concluso che non sussiste un obbligo costituzionale di prevedere strumenti di concertazione quali l’intesa o il parere. Infine, sono state ritenute infondate le censure relative agli artt. 3 e 23 Cost. La Corte ha escluso che la normativa fosse indeterminata o irrazionale, avendo il legislatore specificato in modo sufficientemente chiaro le finalità, l’ammontare, i destinatari e le modalità di attuazione del fondo, rimettendo a un decreto interministeriale la definizione dei criteri.
Sentenza n. 103 del 2024
La sentenza n. 103 del 2024 della Corte costituzionale ha esaminato un ricorso promosso dal Governo contro l’articolo 13, comma 1, lettera b), della legge della Regione autonoma della Sardegna n. 9 del 2023. Questa disposizione regionale consente il mutamento di destinazione delle aree gravate da usi civici per l’installazione di impianti di produzione di energie rinnovabili.
Il Governo sosteneva che tale norma violasse la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione) e invadesse la competenza concorrente in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia (articolo 117, terzo comma, della Costituzione). In particolare, si riteneva che la disposizione regionale introducesse una procedura semplificata per il mutamento di destinazione dei terreni gravati da uso civico, trascurando i vincoli paesaggistici previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
La Corte ha dichiarato non fondate le questioni sollevate, ritenendo che la norma regionale non violi i principi costituzionali invocati. Secondo la Corte, la disposizione in questione non introduce una procedura semplificata che elude i vincoli paesaggistici, ma si inserisce nel quadro normativo delineato dal decreto legislativo n. 199 del 2021, che attribuisce alle regioni la competenza di individuare, con legge, le aree idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili. Inoltre, la mancata inclusione delle aree gravate da usi civici tra quelle idonee non comporta la loro assoluta inidoneità all’installazione di tali impianti, che rimane assoggettata al procedimento autorizzatorio ordinario.
In definitiva, la Corte ha riconosciuto la legittimità della disciplina regionale, sottolineando che essa non pregiudica la tutela paesaggistica e rientra nell’ambito delle competenze attribuite alla Regione Sardegna.
Sentenza n. 123 del 2024
Con questa decisione, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso statale contro l’art. 120, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna n. 9 del 2023, che apportava modifiche alla disciplina transitoria sull’assetto delle province sarde. Secondo il Governo, le disposizioni impugnate avrebbero inciso nuovamente sulla delimitazione territoriale degli enti di area vasta, senza il coinvolgimento delle popolazioni interessate, in violazione dell’art. 43, secondo comma, dello Statuto speciale e dell’art. 133, secondo comma, Cost.
La Corte ha però escluso che l’art. 120 abbia introdotto una “novazione normativa” idonea a riaprire la questione già ritenuta inammissibile con la sentenza n. 68 del 2022. Ha infatti rilevato che le modifiche apportate nel 2023 si limitano a interventi di natura formale o attuativa: la ridefinizione della denominazione di una provincia, la ricognizione della circoscrizione territoriale della provincia di Oristano, l’elencazione dei comuni che ne fanno parte e la disciplina della successione amministrativa nella fase transitoria. Nessuno di questi interventi è stato ritenuto idoneo a incidere sul contenuto sostanziale delle scelte operate dalla legge regionale del 2021, che resta l’unica fonte delle modifiche territoriali.
In ragione di ciò, la Corte ha rilevato un difetto di interesse del ricorrente, sottolineando che l’eventuale accoglimento non sarebbe stato idoneo a rimuovere la lesione denunciata. A ciò si aggiunge un difetto di motivazione, considerato che il ricorso si è limitato ad affermare apoditticamente la sussistenza di una modifica dell’assetto territoriale, senza articolare una argomentazione giuridica sufficiente a dimostrare il nesso tra le disposizioni impugnate e i parametri evocati.
La pronuncia conferma, nella sua struttura motivazionale, l’orientamento secondo cui nei giudizi in via principale l’onere motivazionale è particolarmente rigoroso. Quando l’oggetto del ricorso è costituito da norme che non innovano realmente il quadro normativo sostanziale, il controllo della Corte si arresta dinanzi all’inidoneità dell’impugnazione a produrre effetti utili sul piano giuridico. L’inammissibilità si fonda dunque, in questo caso, su una duplice carenza: di attitudine lesiva delle disposizioni e di coerenza logico-argomentativa del ricorso stesso.
Sentenza n. 124 del 2024
La sentenza n. 124 del 2024 della Corte costituzionale si è pronunciata sul ricorso promosso dal Governo contro alcune disposizioni della legge della Regione autonoma della Sardegna n. 9 del 2023. La Corte ha anzitutto dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 1, lettera b), nella parte in cui stabiliva per legge l’apertura della caccia alla tortora selvatica dal 1° settembre, in deroga alla disciplina statale dettata dalla legge n. 157 del 1992. Secondo la Corte, la previsione regionale violava la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente (art. 117, co. 2, lett. s, Cost.), in quanto si discostava dai limiti temporali stabiliti dalla normativa statale per il calendario venatorio, non rispettava la “riserva di amministrazione” prevista per tale tipo di decisioni e sottraeva l’atto alla revisione annuale e al sindacato giurisdizionale.
Con riferimento agli articoli 86, comma 1, e 87, comma 1, relativi all’attribuzione di funzioni di investigazione giudiziaria e di polizia giudiziaria al Corpo forestale e di vigilanza ambientale regionale (CFVAR), la Corte ha dichiarato non fondate le censure, ritenendo che le norme non conferiscano nuove funzioni in senso proprio, ma si limitino a una ricognizione di compiti esercitabili alla luce della normativa statale vigente.
Diversamente, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 87, comma 1, nella parte in cui stabiliva che il CFVAR svolgeva, in ambito regionale, “le funzioni e i compiti già espletati in campo nazionale dal soppresso Corpo forestale dello Stato”. La disposizione è stata ritenuta eccedente le competenze regionali, in quanto non distingue tra le funzioni che possono essere attribuite al Corpo regionale e quelle, come il contrasto al commercio illegale di specie protette (materia CITES), che rientrano nella competenza esclusiva dello Stato. La Corte ha ricordato che tali funzioni sono state attribuite all’Arma dei carabinieri e rientrano in ambiti che toccano l’attuazione di obblighi internazionali, la tutela ambientale e la sicurezza pubblica.
Sentenza n. 141 del 2024
La sentenza n. 141 del 2024 della Corte costituzionale si pronuncia su due ricorsi promossi dal Governo contro alcune disposizioni della Regione autonoma Sardegna che disciplinavano la possibilità di derogare ai tetti di spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie da parte di soggetti privati accreditati.
La Corte ha dichiarato anzitutto l’estinzione del processo relativamente all’art. 35, comma 2, della legge reg. n. 9 del 2023, in quanto la norma è stata abrogata medio tempore e la Regione ha accettato la rinuncia all’impugnativa.
In relazione all’art. 56 della legge reg. n. 9 del 2023 e all’art. 5, comma 1, della legge reg. n. 21 del 2023, la Corte ha distinto due gruppi di censure. Ha dichiarato inammissibili quelle formulate in riferimento agli artt. 3, 81 e 97 Cost., nonché agli artt. 3 e 4 dello Statuto speciale per difetto assoluto di motivazione. Richiamando la propria giurisprudenza costante, ha ribadito che, nei giudizi in via principale, l’onere motivazionale a carico del ricorrente è particolarmente stringente e non può essere assolto con mere evocazioni dei parametri costituzionali.
Diversamente, la Corte ha ritenuto non fondate le censure mosse con riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., nella materia del coordinamento della finanza pubblica. Il nucleo della questione riguardava la possibilità per la Regione Sardegna di superare i limiti di spesa statali stabiliti, in particolare, dall’art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012, in tema di acquisti di prestazioni da soggetti privati.
La Corte ha riconosciuto che, in via generale, i tetti di spesa rappresentano principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e sono, di regola, vincolanti anche per gli enti ad autonomia speciale. Tuttavia, ha ribadito l’orientamento secondo cui, laddove la Regione provveda integralmente con risorse proprie al finanziamento del servizio sanitario regionale, lo Stato non ha titolo per imporre limiti di spesa vincolanti, trattandosi di una competenza regionale coperta da autonomia finanziaria.
Nel caso della Sardegna, il legislatore statale non concorre al finanziamento della sanità regionale sin dal 2007, sicché i vincoli di spesa imposti dalla normativa statale non trovano applicazione automatica. La disposizione regionale impugnata, inoltre, autorizzava l’incremento della spesa solo “fermo restando l’equilibrio economico-finanziario del Servizio sanitario regionale”, rispettando così i limiti costituzionali e statutari.
Sentenza n. 142 del 2024
La sentenza n. 142 del 2024 della Corte costituzionale ha deciso un ricorso promosso dal Governo contro numerose disposizioni della legge della Regione autonoma della Sardegna n. 9 del 2023, che disciplinano vari interventi edilizi e urbanistici.
La Corte ha anzitutto dichiarato costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale della Sardegna, la norma regionale che consentiva il superamento degli indici volumetrici negli interventi di riuso e recupero dei sottotetti. Secondo la Corte, tale disposizione, inserita in una disciplina a regime e non temporanea, introduceva una deroga generalizzata e stabile agli standard urbanistici vigenti senza che tali deroghe fossero assorbite in strumenti di pianificazione urbanistica di tipo attuativo.
Allo stesso modo, è stata dichiarata parzialmente illegittima la disposizione che consentiva benefici volumetrici anche per gli immobili oggetto di condono edilizio. La Corte ha affermato che il divieto di riconoscere vantaggi edilizi per immobili abusivi, ancorché condonati, costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico della Repubblica, che si impone come limite alla potestà legislativa regionale.
Ancora, è stata dichiarata illegittima la norma che qualificava le pergole bioclimatiche come interventi di edilizia libera, senza titolo abilitativo. La Corte ha ritenuto che queste strutture, per le loro caratteristiche costruttive, siano assimilabili alle tettoie e pertanto soggette ai titoli edilizi ordinari, non potendo essere equiparate agli “elementi di arredo” delle aree pertinenziali.
Diversamente, sono state dichiarate inammissibili per difetto di motivazione le censure relative ad altre disposizioni della medesima legge regionale. In particolare, la Corte ha rilevato che il ricorso statale non dimostrava in maniera adeguata il nesso tra le disposizioni impugnate e i parametri evocati. In tali ipotesi, il ricorso era basato su affermazioni generiche o su parametri costituzionali non pertinenti rispetto alla materia assegnata alla competenza primaria regionale.
Infine, sono state ritenute non fondate alcune censure, tra cui quelle relative alla possibilità di intervento sulle strutture ricettive mediante chiusura temporanea di verande e tettoie con elementi amovibili, e al recupero dei sottotetti anche in zone di pregio paesaggistico. La Corte ha sottolineato come tali disposizioni non presentino un contrasto evidente con gli standard minimi e che il legislatore regionale ha comunque predisposto condizioni di tutela ambientale e paesaggistica compatibili con il quadro costituzionale.
Sentenza n. 151 del 2024
La sentenza n. 151 del 2024 della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di due disposizioni della legge regionale della Sardegna n. 9 del 2023, riguardanti interventi edilizi nella fascia costiera e la delega di funzioni in materia ambientale.
La Corte ha ritenuto incostituzionale l’articolo 130, comma 1, lettera a), nella parte in cui consentiva la demolizione e ricostruzione di edifici entro i 300 metri dalla linea di battigia marina senza mantenere sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente, anche in aree tutelate dal piano paesaggistico e dal codice dei beni culturali e del paesaggio.
La Corte ha osservato che tale disposizione riproduceva, sebbene con una formulazione più dettagliata, il contenuto di una norma già dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 24 del 2022. Pertanto, la nuova norma violava l’articolo 136 della Costituzione, che vieta la riproposizione di disposizioni già dichiarate illegittime.
La Corte ha inoltre dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 75 della stessa legge regionale, nella parte in cui conferiva alle province e alle città metropolitane le funzioni e i compiti amministrativi attribuiti alla Regione dall’articolo 250 del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativi alla bonifica dei siti contaminati.
Secondo la Corte, tale disposizione violava l’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. La Regione non può delegare a enti locali funzioni che rientrano nella competenza esclusiva statale.
Sentenza n. 168 del 2024
La sentenza n. 168 del 2024 della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Sardegna 5 febbraio 2024, n. 2, intitolata “Disposizioni in materia di istruzione”.
La legge regionale mirava a mantenere tutte le autonomie scolastiche esistenti nell’anno scolastico 2023-2024, avviando allo stesso tempo un procedimento per definire una norma di attuazione, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto speciale per la Sardegna, che prevedesse tale mantenimento. Inoltre, prevedeva che la Regione provvedesse autonomamente al dimensionamento della rete scolastica e alla programmazione dell’offerta formativa, attraverso l’adozione di un Piano annuale. Per l’anno scolastico 2024-2025, la legge consentiva, previa intesa con lo Stato, il mantenimento di un presidio con funzioni organizzative e gestorie presso le autonomie scolastiche oggetto di soppressione, con oneri a carico della Regione.
La Corte ha ritenuto che la legge regionale violasse gli articoli 117, secondo comma, lettere g) ed n), della Costituzione, che attribuiscono allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e di norme generali sull’istruzione. In particolare, la legge regionale contrastava con la disciplina statale che stabilisce una corrispondenza tra il numero delle autonomie scolastiche e il contingente organico dei dirigenti scolastici (DS) e dei direttori dei servizi generali e amministrativi (DSGA), al fine di superare l’istituto della reggenza. La Corte ha sottolineato che, pur spettando alle Regioni la funzione di dimensionamento scolastico, esse devono rispettare i parametri e i criteri stabiliti dallo Stato in materia di organici e di organizzazione del sistema scolastico.
La Corte ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’intera legge regionale n. 2 del 2024, in quanto le disposizioni impugnate erano strettamente connesse tra loro e costituivano un complesso normativo unitario. La declaratoria di illegittimità ha riguardato anche l’articolo 5 della legge, relativo alla sua entrata in vigore, in quanto privo di autonoma portata normativa.
Sentenza n. 170 del 2024
La sentenza n. 170 del 2024 della Corte costituzionale ha deciso un ricorso in via principale promosso dal Governo contro l’art. 3, commi 12 e 13, della legge della Regione autonoma della Sardegna n. 1 del 2024, che autorizzava l’Azienda regionale della salute (ARES) a utilizzare risorse residue dell’ex Azienda per la tutela della salute (ATS) per redistribuirle agli erogatori privati accreditati in caso di superamento del budget assegnato per il 2021 e per incrementare il tetto di spesa ospedaliera per il 2023.
La Corte ha dichiarato inammissibili le questioni fondate sull’art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992 e sugli artt. 3 e 4 dello Statuto speciale per la Sardegna, per difetto assoluto di motivazione: il ricorso non chiariva in che modo la disciplina impugnata violasse i parametri costituzionali evocati e si limitava a formulare affermazioni generiche e meramente assertive, in contrasto con il rigoroso onere motivazionale richiesto nei giudizi in via principale.
Quanto alla censura fondata sull’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica (art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012), la Corte l’ha ritenuta non fondata. Richiamando una giurisprudenza ormai consolidata, ha affermato che le Regioni e le Province autonome che finanziano integralmente il proprio servizio sanitario non sono soggette ai vincoli di contenimento della spesa sanitaria stabiliti dallo Stato, a meno che non si trovino in piano di rientro o non compromettano il raggiungimento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), condizioni che nel caso di specie non ricorrevano.
La Corte ha ritenuto che le misure adottate dalla Regione, mirate a ridurre le liste d’attesa aggravate dalla pandemia, non contrastassero con i principi generali di programmazione e razionalizzazione della spesa, che restano vincolanti per tutte le autonomie territoriali. Ha quindi concluso che la disciplina impugnata rientra nel legittimo esercizio della potestà legislativa regionale in materia di sanità, compatibile con l’assetto costituzionale delle competenze.
Sentenza n. 174 del 2024
La sentenza n. 174 del 2024 della Corte costituzionale ha accolto parzialmente il ricorso del Governo contro alcune disposizioni della legge della Regione Sardegna n. 17 del 2023, in materia di edilizia e contratti pubblici.
In primo luogo, la Corte ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 4, comma 1, lettera a), nella parte in cui consentiva il recupero di seminterrati, piani pilotis e locali a piano terra anche mediante il superamento degli indici volumetrici previsti dagli strumenti urbanistici comunali e regionali. Sebbene la Regione disponga di competenza legislativa primaria in materia di edilizia e urbanistica, tale competenza deve essere esercitata nel rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, tra cui il principio di pianificazione unitaria del territorio, espresso dall’art. 41-quinquies della legge urbanistica n. 1150/1942. Secondo la Corte, la disposizione regionale introduceva una deroga stabile e generalizzata agli standard edilizi, priva dei requisiti di eccezionalità e temporaneità, in contrasto con quanto richiesto dalla giurisprudenza costituzionale.
In secondo luogo, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 16, nella parte in cui, introducendo un nuovo comma 3-bis nell’art. 37 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, stabiliva che l’ammissione dell’offerta tecnica, nei contratti aggiudicati con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, fosse subordinata al raggiungimento di un punteggio minimo pari al 60% del valore massimo. La Corte ha ritenuto che tale previsione, imponendo una causa di esclusione automatica, violasse il principio di autonomia della stazione appaltante, tutelato dal codice dei contratti pubblici statale (d.lgs. n. 36/2023, art. 108), e quindi eccedesse i limiti della competenza regionale, invadendo la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza (art. 117, co. 2, lett. e, Cost.).
Sono invece state dichiarate inammissibili le ulteriori censure sull’art. 4, comma 1, lett. a), nella parte in cui si lamentava la violazione degli artt. 9 e 117 Cost., nonché del principio di leale collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.), per difetto assoluto di motivazione. Il ricorso non conteneva, secondo la Corte, una sufficiente articolazione argomentativa sui termini del contrasto con i parametri evocati.
Infine, la Corte ha ritenuto non fondata la censura basata sull’art. 136 Cost., che ipotizzava una violazione del giudicato costituzionale derivante dalla sentenza n. 166 del 2019: la disposizione impugnata, infatti, pur richiamando l’art. 37 della legge regionale n. 8 del 2018 (in parte già dichiarato illegittimo), aveva un oggetto normativo del tutto diverso e autonomo.
Sentenza n. 180 del 2024
La sentenza n. 180 del 2024 della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 35, comma 5, della legge della Regione Sardegna n. 17 del 2021, che disponeva, con efficacia retroattiva a decorrere dal 2014, la rivalutazione ISTAT delle indennità e dei rimborsi spese dei consiglieri regionali e dei componenti della Giunta regionale non consiglieri.
Secondo la Corte, la norma regionale viola l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica, poiché si pone in contrasto con quanto previsto dall’art. 2 del d.l. n. 174 del 2012, convertito in legge n. 213/2012, che stabilisce limiti massimi agli emolumenti dei titolari di cariche elettive regionali, individuati sulla base dei valori della regione “più virtuosa”, secondo criteri fissati dalla Conferenza Stato-Regioni. La Regione Sardegna, applicando rivalutazioni retroattive, ha ecceduto tali limiti e ha reso inefficaci le misure sanzionatorie statali, eludendo di fatto il meccanismo previsto per contenere la spesa pubblica.
La Corte ha ricordato che, anche per le Regioni a statuto speciale, i vincoli statali di spesa sono funzionali alla tutela dell’equilibrio economico-finanziario complessivo e dell’unità economica della Repubblica. Ha escluso che gli accordi sottoscritti dalla Regione Sardegna con lo Stato in materia di finanza pubblica possano esonerarla dal rispetto di tali obblighi, trattandosi di intese che non riguardano la disciplina dei costi della politica.
Sono state invece assorbite le ulteriori censure fondate sugli articoli 3 e 97 Cost. (ragionevolezza, imparzialità, buon andamento) e sugli articoli 5 e 120 Cost. (leale collaborazione), alla luce della fondatezza del vizio relativo al coordinamento della finanza pubblica.
Sentenza n. 192 del 2024
La sentenza n. 192 del 2024 della Corte costituzionale ha accolto parzialmente i ricorsi proposti da Campania, Puglia, Toscana e Sardegna contro la legge n. 86 del 2024, che disciplina l’attuazione dell’autonomia differenziata ex art. 116, terzo comma, Cost. La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di numerose disposizioni per violazione dell’art. 116, terzo comma, nonché degli artt. 76 e 117, secondo comma, lettera m), Cost.
In primo luogo, la Corte ha ritenuto incostituzionale l’intera impostazione della legge nella parte in cui faceva riferimento a “materie o ambiti di materie”, anziché a “specifiche funzioni”. Secondo la Corte, il trasferimento di competenze ex art. 116, terzo comma, Cost., può riguardare esclusivamente singole funzioni, legislative e/o amministrative, e deve essere fondato su una motivazione specifica e su un’idonea istruttoria, coerente con il principio di sussidiarietà. L’allusione a intere materie autorizza invece un trasferimento generalizzato, non compatibile con il disegno costituzionale.
La Corte ha poi dichiarato illegittimo l’art. 3, comma 1, della legge, che conferiva al Governo la delega per la determinazione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni), in quanto carente di principi e criteri direttivi sufficientemente specifici, come richiesto dall’art. 76 Cost. Ha affermato che la definizione dei LEP implica delicate scelte politiche e costituisce un presupposto essenziale dell’autonomia differenziata, non delegabile in bianco al Governo e tanto meno a un DPCM, fonte priva di forza normativa adeguata a incidere su diritti sociali e civili fondamentali.
Sono state dichiarate illegittime anche le norme che non prevedevano che l’iniziativa regionale fosse motivata secondo il principio di sussidiarietà, e quelle che permettevano il negoziato su più materie indistintamente, senza vincoli di proporzionalità e senza verifica di adeguatezza della richiesta. Secondo la Corte, il processo di differenziazione non può essere né automatico né generalizzato, ma deve essere personalizzato e motivato, alla luce delle condizioni concrete della Regione richiedente.
È stata inoltre censurata la disciplina finanziaria. L’art. 9, comma 4, è stato dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevedeva che la partecipazione delle Regioni differenziate agli obiettivi di finanza pubblica fosse facoltativa, e non invece obbligatoria su un piano di parità rispetto alle altre Regioni, in violazione del principio di solidarietà e di eguaglianza sostanziale tra territori.
La Corte ha infine precisato che la procedura ex art. 116, terzo comma, Cost., non è estensibile alle Regioni a statuto speciale, la cui autonomia è regolata dalla fonte statutaria e richiede modifiche di rango costituzionale. Ogni ulteriore estensione deve pertanto passare per il procedimento di revisione statutaria, non potendo essere disposta da una legge ordinaria statale.
La pronuncia riafferma con nettezza il disegno costituzionale dell’autonomia differenziata come processo selettivo, garantito e controllato, incentrato su specifiche funzioni e accompagnato da una previa determinazione normativa dei LEP. In questo modo, la Corte ribadisce che l’unità della Repubblica, la coesione territoriale e l’uniformità dei diritti fondamentali restano principi non derogabili, neppure nell’ambito di un regionalismo differenziato.
Sentenza n. 198 del 2024
La sentenza n. 198 del 2024 della Corte costituzionale ha accolto parzialmente il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri contro alcune disposizioni della legge della Regione autonoma della Sardegna n. 17 del 2023.
La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge regionale impugnata, nella parte in cui riconosceva ai consiglieri metropolitani un’indennità equiparata a quella prevista per i consiglieri o gli assessori del comune capoluogo. Secondo la Corte, tali disposizioni violano l’art. 117, terzo comma, Cost., poiché si pongono in contrasto con il principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica, che impone la gratuità delle cariche di consigliere, sindaco e vicesindaco metropolitano, ai sensi dell’art. 1, comma 24, della legge n. 56 del 2014. La Corte ha ribadito che tali vincoli, funzionali alla tutela dell’unità economica della Repubblica e all’equilibrio della finanza pubblica allargata, si applicano anche alle Regioni a statuto speciale, in quanto principi fondamentali vincolanti anche nell’ambito della competenza legislativa concorrente.
Con riferimento all’art. 5, comma 47, lettera a), la Corte ha ritenuto non fondate le censure mosse dal Governo. Tale disposizione abrogava una norma regionale che prevedeva il finanziamento di borse di studio per la frequenza delle scuole di specializzazione di area sanitaria non medica. Il ricorrente sosteneva che la norma residua (comma 2 dell’art. 3-bis della legge reg. n. 6/2020) fosse divenuta inapplicabile e contraddittoria, richiamando una disciplina statale (art. 8 della legge n. 401/2000 e art. 35 del d.lgs. n. 368/1999) riferita esclusivamente all’area medica. La Corte ha tuttavia escluso che la disposizione presentasse un grado di ambiguità tale da renderla concretamente inapplicabile, escludendo così la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo del principio di ragionevolezza. Ha anche affermato che la norma interposta evocata (art. 2-bis del d.l. n. 42/2016, convertito) non configura un principio fondamentale della materia “tutela della salute”, tale da vincolare il legislatore regionale ex art. 117, terzo comma, Cost.
Inoltre, la Corte ha rigettato la censura di violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost. per lesione del principio di leale collaborazione, rilevando l’assenza di atti ufficiali da cui si potesse desumere un impegno vincolante della Regione ad adeguarsi alle osservazioni statali.
Sentenza n. 28 del 2025
Con la sentenza n. 28 dell’11 marzo 2025, la Corte costituzionale si è pronunciata in merito al conflitto tra legislazione statale e regionale nella disciplina della transizione energetica, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Sardegna n. 5 del 2024, recante una sospensione generalizzata – per un periodo di diciotto mesi – dei procedimenti autorizzativi relativi alla realizzazione di nuovi impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili.
La norma impugnata dal Governo – e rispetto alla quale è intervenuta ad adiuvandum anche una società privata, titolare di progetti già autorizzati ma non ancora realizzati – aveva la finalità dichiarata di tutelare il paesaggio e il territorio regionale da un “assalto” indiscriminato di iniziative imprenditoriali. A giudizio della Regione, tale sospensione temporanea costituiva uno strumento necessario per consentire l’adozione di una pianificazione di settore più consapevole e sostenibile.
La Corte, tuttavia, ha ritenuto che tale previsione eccedesse i limiti della competenza legislativa regionale. In particolare, ha osservato che l’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021 – attuativo delle direttive europee in materia di energia da fonti rinnovabili – non consente l’introduzione di moratorie legislative, neppure temporanee, nei procedimenti autorizzativi concernenti tali impianti.
Secondo la Corte, in un settore di interesse nazionale e sovranazionale, come quello della decarbonizzazione e dell’approvvigionamento energetico, l’intervento normativo regionale non può porsi in contrasto con le finalità e i meccanismi di semplificazione e accelerazione imposti dal legislatore statale.
La Corte ha quindi ribadito la necessità che le Regioni, pur conservando margini significativi di intervento sul piano della programmazione territoriale e della tutela del paesaggio, si muovano entro un quadro di regole omogenee, orientato alla realizzazione degli obiettivi climatici e ambientali stabiliti a livello nazionale e comunitario. L’effetto conformativo dell’art. 117, secondo comma, lett. s) e lett. m), Cost. viene così ancora una volta valorizzato nei settori ad alta integrazione tecnica e strategica, nei quali la disomogeneità territoriale può pregiudicare l’effettività dell’azione pubblica.
ORDINANZE GIUDIZI IN VIA PRINCIPALE
Ordinanza n. 96 del 2023
L’ordinanza n. 96 del 2023 della Corte costituzionale ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in relazione al ricorso promosso dal Governo contro l’art. 2, comma 2, della legge della Regione Sardegna n. 11 del 2022. La norma impugnata autorizzava, in via eventuale, l’utilizzo di risorse regionali per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati, escludendo l’applicazione dei tetti di spesa previsti dalla normativa statale.
La censura si fondava sulla lesione del principio di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., nonché sull’eccesso dalle competenze statutarie regionali, ai sensi dell’art. 4, lett. i), dello Statuto speciale sardo.
Successivamente, la disposizione è stata modificata dalla legge regionale n. 1 del 2023, che ha espunto ogni riferimento all’acquisto di prestazioni da privati e alla deroga ai limiti di spesa. Inoltre, la norma non ha trovato applicazione medio tempore, circostanza non contestata dal Governo.
Ricorrendo dunque le condizioni cumulative richieste dalla giurisprudenza costituzionale – carattere satisfattivo dello ius superveniens e mancata applicazione della norma impugnata – la Corte ha dichiarato cessato il giudizio.
Ordinanza n. 154 del 2024
Con l’ordinanza n. 154 del 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale promosse in via principale dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti dell’articolo 34, comma 1, lettere a), numero 2), e b), della legge della Regione Sardegna n. 9 del 2023.
Le norme regionali impugnate introducevano un meccanismo di nomina diretta per figure apicali del sistema sanitario sardo. In particolare, si prevedeva che il Commissario liquidatore dell’Azienda per la Tutela della Salute (ATS) fosse nominato direttamente dalla Giunta regionale e, in via transitoria, che anche gli incarichi di direttore sanitario e amministrativo delle aziende sanitarie potessero essere affidati con nomina diretta, senza espletamento di una procedura selettiva.
Il Governo aveva impugnato tali disposizioni per violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, lamentando il contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale in materia di tutela della salute, specificamente con le norme sulla dirigenza sanitaria (d.lgs. n. 171/2016). Secondo il ricorrente, la legislazione statale di principio impone procedure trasparenti e selettive per la nomina dei vertici sanitari, a garanzia della loro competenza tecnica e imparzialità, principi che la normativa sarda avrebbe eluso.
Durante la pendenza del ricorso, la stessa Regione Sardegna, con la legge n. 17 del 2023, ha provveduto ad abrogare integralmente le disposizioni oggetto di censura, inducendo il Presidente del Consiglio dei ministri a depositare un atto di rinuncia parziale al ricorso, limitatamente alle questioni relative alle norme abrogate. Pertanto, verificata l’avvenuta abrogazione delle norme, la loro mancata applicazione e la conseguente rinuncia del ricorrente, la Corte ha dichiarato cessata la materia del contendere.
Ordinanza n. 54 del 2025
Con l’ordinanza n. 54 del 2025, la Corte costituzionale ha disposto un supplemento di istruttoria nei giudizi di legittimità promossi dalle Regioni Toscana e Sardegna. L’oggetto del contendere è la norma statale che ha riprogrammato la fonte di finanziamento di alcuni progetti di edilizia sanitaria, trasferendola dai fondi del Piano Nazionale Complementare (PNC) ai fondi nazionali di cui all’articolo 20 della legge n. 67/1988.
Ritenendo di non avere elementi sufficienti per decidere, la Corte ha sospeso il giudizio, rivolgendo una serie di quesiti tecnici alla Ragioneria generale dello Stato. L’obiettivo è chiarire le conseguenze concrete di tale trasferimento finanziario.
In particolare, la Corte chiede di verificare la piena copertura finanziaria degli impegni di spesa già assunti dalle Regioni, domandando se sui fondi nazionali vi siano risorse sufficienti e già disponibili. Inoltre, la Corte intende accertare se l’accesso ai fondi nazionali avvenga secondo le procedure tradizionali, più complesse e lunghe, o secondo quelle semplificate previste dal PNC. Altro punto cruciale è la verifica della percentuale di copertura garantita, per capire se essa sia totale (100%), come nel regime del PNC, o parziale (95%), come nella disciplina ordinaria.
SENTENZE GIUDIZI SULL’AMMISSIBILITÀ DEI REFERENDUM
Sentenza n. 10 del 2025
Con la sentenza n. 10 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione della legge 26 giugno 2024, n. 86 (Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata), come risultante a seguito della sentenza della stessa Corte n. 192 del 2024.
In via preliminare, la Corte ha escluso che l’oggetto del quesito rientrasse nelle categorie di leggi sottratte al referendum dall’art. 75, secondo comma, della Costituzione. La legge n. 86/2024 non è stata qualificata né come legge tributaria né come legge di bilancio, e neppure come legge costituzionalmente necessaria ai fini dell’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost.
La decisione di inammissibilità si fonda invece sui requisiti di chiarezza, omogeneità e univocità del quesito referendario, come elaborati dalla giurisprudenza costituzionale. La Corte ha rilevato che la sentenza n. 192 del 2024 ha profondamente inciso sull’impianto normativo della legge oggetto del referendum, con interventi caducatori, sostitutivi e interpretativi che ne hanno eliminato gran parte del disposto, lasciando in vita un “contenuto minimo” di difficile individuazione.
Di conseguenza, l’oggetto del quesito risulta obiettivamente oscuro per l’elettore. Tale condizione di disorientamento impedirebbe l’espressione di un voto libero e consapevole, violando i principi di cui agli artt. 1 e 48 della Costituzione. La Corte ha affermato che, a fronte di un oggetto sostanzialmente non decifrabile, la campagna referendaria non potrebbe rendere semplice ciò che è complesso e chiaro ciò che è oscuro. La consultazione rischierebbe di trasformarsi da un voto su una legge ordinaria a un’opzione “a favore o contro il regionalismo differenziato”, assumendo una portata che trascende l’uso corretto dello strumento referendario. Tale esito comporterebbe una polarizzazione identitaria sull’autonomia differenziata e, in definitiva, sull’art. 116, terzo comma, Cost., materia che non può essere oggetto di referendum abrogativo ma solo di revisione costituzionale.
Per tali motivi, la richiesta referendaria è stata dichiarata inammissibile.
SENTENZE GIUDIZI PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE TRA ENTI
Sentenza n. 42 del 2025
Con la sentenza n. 42 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso per conflitto di attribuzione tra enti promosso dalla Regione autonoma della Sardegna nei confronti dello Stato, avente ad oggetto la sentenza n. 87/2023 del Tribunale superiore delle acque pubbliche (TSAP).
Il conflitto era sorto poiché la Regione lamentava che il TSAP, annullando alcuni suoi atti amministrativi attuativi di leggi regionali in materia di concessioni idriche, avesse di fatto disapplicato tali leggi. Secondo la ricorrente, il TSAP si sarebbe arrogato un potere di sindacato sulla legislazione regionale, qualificandola come “legge provvedimento” e disapplicandola per presunta violazione delle garanzie partecipative, in spregio alle attribuzioni legislative della Regione (artt. 116, 117 Cost. e Statuto speciale) e al monopolio del controllo di costituzionalità riservato alla Corte (art. 134 Cost.).
In via preliminare, la Corte ha dichiarato ammissibile l’intervento in giudizio di ENEL produzione spa. Pur ribadendo che, di regola, soggetti diversi da Stato e Regioni non possono intervenire nei conflitti di attribuzione, la Corte ha ritenuto sussistente l’eccezione, dato che il giudizio incideva in maniera immediata e diretta sulla situazione soggettiva di ENEL, parte vittoriosa nel giudizio presupposto dinanzi al TSAP. In secondo luogo, ha respinto l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri. La Corte ha chiarito che per atti giurisdizionali diretti a destinatari determinati il dies a quo va individuato nella notificazione o, in via sussidiaria, nell’avvenuta conoscenza dell’atto da parte dell’organo legittimato a proporre il ricorso.
Nel merito, la Corte non ha proceduto all’esame del conflitto, avendo preso atto di un evento sopravvenuto risolutivo: la cassazione con rinvio della sentenza del TSAP da parte delle sezioni unite della Corte di cassazione con ordinanza n. 34734/2024. Questo evento ha rimosso l’atto ritenuto lesivo delle attribuzioni regionali, determinando la cessazione della materia del contendere. Il ricorso, pur originariamente ammissibile, è stato quindi dichiarato improcedibile per carenza d’interesse sopravvenuta.