di Salvatore Taras


Recensione di “Coscienza culturale e filosofie della storia in Sardegna nell’età moderna e contemporanea” 

 La filosofia del sardismo in un agile compendio a cura di Michele Pinna

Il titolo è corposo e denso, quasi un marchio, un’insegna, un indizio lampante della presenza di un ragionamento filosofico che parla di Sardegna.
Il testo invece è breve, agile e discorsivo. Quasi un compendio, un invito alla lettura affinché i contenuti possano essere digeriti e compresi. Quantomeno decifrati. Insomma, un piccolo saggio dedicato a chiunque abbia intenzione di gettare uno sguardo sulla “filosofia sarda”, o “filosofia del sardismo”, come l’autore amava definire la riflessione sulla Sardegna intesa, nello specifico, quale “comunità umana e culturale che detiene una propria vocazione nazionale”.

Questo autore è Michele Pinna, studioso infaticabile che, persino dopo la sua scomparsa (avvenuta nel 2022), riesce ancora a concedere in eredità dei piccoli tesori educativi, frutto dell’amore che l’intellettuale originario di Bono nutriva per la sua terra.

Coscienza culturale e filosofie della storia in Sardegna nell’età moderna e contemporanea” è un piccolo grande scrigno di riflessioni – pubblicato dalla Edes all’interno della collana “Pensieri sardisti” edizioni Istituto Camillo Bellieni – il quale ripercorre come un Bignami la “fenomenologia della coscienza politica nazionale” dell’isola, a partire da quel concetto di “natio sardorum” già presente in tempi remotissimi, ben prima di essere coniato dai latini in maniera tutt’altro che positiva.

Sono passate al vaglio le diverse visioni autonomistiche, distinte a seconda del grado di radicalità. In primis quella integrazionista, caratterizzata da una maggiore accentuazione di appartenenza dell’Isola alla statualità dominante. E quindi la visione puramente indipendentista, mirante a una Sardegna detentrice di poteri statuali sovrani, non negoziabili con lo Stato d’appartenenza.

Si può ben dire che, per comprendere la filosofia di un popolo, è inevitabile fare ricorso alla storia. Una storia di dominazioni, dove la coscienza statuale, nell’ottica di Pinna, trova il suo momento più alto nella sovranità giudicale, esplicitata nella Carta de Logu promulgata da Eleonora d’Arborea. È un codice che, non a caso, viene considerato uno dei documenti più importanti del periodo medievale, capace di attraversare, nel suo essere vigente, tutta l’età moderna fino all’avvento del Codice Feliciano.

Tra i pensatori dell’epopea rivoluzionaria sarda è menzionato più volte il sacerdote Michele Obino di Santu Lussurgiu, al quale è stato attribuito il libello “L’Achille della sarda liberazione”, uno dei testi che maggiormente hanno segnato la coscienza dei sardi nell’età moderna, spianando la strada alla rivolta antifeudale angioyana di fine Settecento. Il modello di sovranità popolare concepito da Giovanni Maria Angioy, secondo Pinna (che ne era orgogliosamente compaesano) sarebbe da fondare “ad interiore homine”, nel cuore degli uomini, piuttosto che partendo da una concezione basata sulle forme astratte dello Stato.

Dall’orizzonte fusionista e integrazionista, in cui si muovono le figure ottocentesche di Asproni, Pintor, Tola e in particolare del canonico Spano, autore del celebre dizionario finalizzato a favorire tra i sardi l’approdo linguistico verso l’italiano, si discosta invece Giovanni Battista Tuveri, filosofo e politico nativo di Collinas, con il suo ripensamento del modello giacobino di Stato verticistico e centralista, e quindi, del modello hegeliano onnipervasivo e totalizzante.

Uno spazio importante è riservato alla riflessione sul contesto nel quale la coscienza sardista trova la sua materializzazione in un partito organizzato: il Psd’Az. Merita attenzione l’esame delle figure di Camillo Bellieni e di Emilio Lussu, e nondimeno quella di un esponente più recente, Antonio Simon Mossa, che ha lasciato un’impronta significativa nel panorama del secondo dopoguerra.

Pinna non si ferma qui. Indaga oltre i confini del sardismo conclamato, cercando di coglierne, ove si presentino, sfumature più o meno marcate, passando al vaglio attento della sua osservazione le figure di Giovanni Lilliu, di Michelangelo Pira, di Antonio Pigliaru e, immancabilmente, quella di Antonio Gramsci.

Dopo aver attraversato così velocemente, saltellando tra le zolle, il lungo campo d’indagine solcato avanti e indietro dal vomere della fenomenologia sarda e sardista, appare più che naturale riproporsi una domanda: è ancora lecito oggi aspirare all’autogoverno e a una sovranità statuale? La risposta affermativa sembrerebbe fin troppo scontata e retorica. Ma al “sì”, Michele Pinna preferisce anteporre un nuovo interrogativo: la politica potrebbe non assumere il sardismo come valore fondativo della sua azione? In sintesi, traendo spunto da una massima di Benedetto croce: possiamo noi non essere sardisti?

isbe

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