
di Antonello Nasone
L’itinerario intellettuale di Michele Pinna (1° parte)
Gli anni che precedono la pubblicazione del primo numero della rivista “Sesuja” nell’aprile del 1985 sono quelli che vedono impegnato Michele Pinna nella scrittura di due monografie: la prima, Filosofia e scienza nella “Scuola di Francoforte”. La metacritica di Th. W. Adorno del 1980, è lo sviluppo della sua tesi di laurea di qualche anno prima; la seconda, pubblicata a ridosso dell’uscita di “Sesuja”, L’esperienza tradita. Cultura-Apprendimento-Educazione in Jean Piaget, è un interesse di vecchia data per un autore, Piaget appunto, della cui rinnovata lettura sono complici gli anni di insegnamento di Pinna nella scuola.
Per la genesi di “Sesuja”, e per la ricostruzione dell’itinerario intellettuale di Michele Pinna è obbligatorio tener conto di questi due pilastri su cui si regge il suo percorso di riflessione negli anni a venire.
Il pensiero di Adorno è infatti frutto dell’incontro con quello che sarà il suo Maestro riconosciuto e che ha segnato indelebilmente gli anni di studi nell’ateneo fiorentino: Sergio Moravia. Quest’ultimo, nel 1974, un anno prima della sua chiamata a ordinario di Storia della Filosofia, aveva pubblicato Adorno e la teoria critica della società, un testo che subito accese la dedizione del giovane Pinna per il pensiero dell’esponente della “Scuola di Francoforte”.
Seppur sullo sfondo emergano le sagome di Dialettica negativa e Minima Moralia, i testi maggiormente presi in esame da Pinna sono Sulla metacritica della gnoseologia e il volume collettaneo Dialettica e positivismo in sociologia. Se nel primo Pinna riporta le critiche adorniane a Husserl, colpevole quest’ultimo, di aver delegato «il momento conoscitivo esclusivamente alla riflessione del soggetto sul dato», alla conclusione del capitolo rileva come le antinomie della fenomenologia husserliana segnalate da Adorno non tengono conto dell’ultimo Husserl, quello de La crisi delle scienze europee, che avrebbe più di un punto di contatto con la Dialettica dell’Illuminismo e in cui Husserl celebra, secondo Pinna «il fallimento delle scienze e della filosofia, da cui nasce la ricerca di nuovi “sensi” e di nuove prospettive conoscitive».
È questo il preambolo teoretico che innesca la sezione propositiva del tema centrale del lavoro: il rapporto filosofia-scienza. Partendo dalla critica adorniana alla ragione scientifica impersonata da Popper – la messa in discussione dell’assoluta autonomia della scienza, su cui si fonda l’epistemologia scientista di Popper, rispetto a all’epistemologia delle scienze sociali che necessariamente esprime «l’intenzione e la possibilità di modificarne il suo statuto teorico [della scienza n.d.a.] e la sua concezione allargandone i suoi orizzonti operativi» -, Pinna individua nel percorso critico-interpretativo compiuto da Adorno la giusta via per liberarsi sia della concezione speculativo-dialettica che di quella obiettivistico-formale, un cammino in grado di schiudere un rinnovato «discorso verso gli orizzonti del “possibile”». La teoria critica adorniana fornisce a Pinna, dunque, una chiave interpretativa che sarà una costante del suo percorso intellettuale: un metodo di demistificazione di un’apparente opposizione che rappresenta null’altro che due facce della stessa medaglia.
Premessa fondamentale al saggio su Piaget, dove il pensatore francese nell’abbandonare quella “cattiva” filosofia «nelle sue forme chiuse all’esperienza ed alla critica “immanente” della “realtà”», rivede il rapporto filosofia-scienza alla luce di quella che Pinna chiama ”saggezza” dell’esperire che deve accompagnare l’uomo non nella pretesa di possedere la “verità” ma nella sua passione e ricercarla». Il rifiuto, alla stesso tempo, della presunzione dell’intellettuale confinato nell’alterigia dei suoi concetti generali e dello scienziato schiacciato nell’ineluttabilità eterna del dato, diventa necessità teorico-morale qualora si voglia infrangere la cristallizzazione degli assetti socio-politici che rappresenta l’inevitabile esito che le due facce della stessa medaglia perseguono. Il rischio ricorrente di una scuola fuori dalla “saggezza” dell’esperire è infatti quella di indirizzare la pratica di insegnamento verso un astratto sapere nozionistico privo di qualsivoglia aggancio col contesto in cui si è collocati; Piaget al contrario «vuole mostrare l’importanza del ruolo dell’apprendimento nella sua funzione di mediazione tra l’individuo, la società e il tessuto culturale in cui si vive e si opera».
Alla vigilia della prima uscita di “Sesuja” la scrittura accumulata nei due saggi incrociava una fase politica inedita. Pinna, già da qualche anno aveva disposto le vele per prendere l’impetuoso soffio del Vento sardista, il quale spalancava ai suoi occhi un orizzonte gravido di possibilità per la teoria critica: quello della società e della cultura sarda.
