Padre manzella

di Adriana Cocco


Padre Manzella: un dono per la Sardegna 

Nei primi decenni del secolo scorso un missionario gira la Sardegna spinto dal desiderio di migliorare le condizioni religiose, sociali e economiche dell’isola.

È il lombardo Giovanni Battista Manzella, nato in una famiglia modesta di materassai ed entrato in seminario all’età di trenta anni a seguito di una tardiva vocazione. A sette anni dalla sua ordinazione sacerdotale, a causa di un disguido nei registri contabili del seminario piemontese di cui era direttore, viene trasferito e destinato alla Casa delle Missioni di Sassari.

E così un mattino del novembre 1900, quarantacinquenne, sbarca a Golfo Aranci.

La Sardegna è una terra di paludi, malaria e povertà, per lo più sconosciuta al resto del mondo, Manzella la amerà facendosi sardo con i sardi.

Scrive Remo Branca: “Non più di tre gli uomini, che hanno veramente conosciuto e visitato la Sardegna, in lungo e in largo, senza fretta, penetrando nel suo cuore attraverso le pellegrinazioni di lunghi anni. Il Lamarmora, che la scoprì sotto l’aspetto fisico e militare, dandoci un’immortale notizia del suo cammino nel “Viaggio” e nell'”Itinerario”. Il Bertarelli, che rifece il cammino divenuto più agevole, per rivelarla sotto l’aspetto turistico, raccogliendo le sue note d’una passeggiata durata diciassette anni nella diffusa “Guida” del Touring. Un terzo uomo, sardo per elezione, ha camminato più degli altri due insieme. Il Signor Manzella, l’apostolo della Sardegna.
Per quaranta anni senza mai sostare ha girato l’isola almeno venti volte: a piedi, a cavallo in automobile, in treno. Questi mezzi di locomozione non sono stati da lui adoperati successivamente nel tempo, man mano che il progresso li introduceva nell’Isola; egli non ha mai rinunciato al cavallo di San Francesco.”

Convinto che i sacerdoti debbano essere apostoli e non impiegati, si angoscia nel vedere l’immensità del bene da fare, non si risparmia e promette che si dedicherà al riposo in Paradiso.

La sua missione

Stila un programma per porre rimedio a tanta miseria e visita ogni paese: cammina nella piana della Nurra e nei monti dell’interno, si sposta tra le rocce della Gallura per raggiungere anche gli stazzi più isolati, giunto nel luogo della missione chiama a sé la popolazione con il suono di una trombetta, predica e confessa, fonda la Conferenza vincenziana di Carità per soccorrere i poveri, aprire orfanotrofi, asili, case di ricovero per vecchi soli e abbandonati, lotta per estirpare la piaga dell’usura costituendo società operaie finanziate dai ricchi. Agendo con semplicità e fiducia ricopre la Sardegna di opere.

Lavora come un disperato, sopporta la fame e la sete, raramente cede al sonno, lotta contro gli eccessi del clima, nonostante soffra per un male ai piedi e alle viscere, se non è in viaggio sta per partire.

Sposta denari come un banchiere ma non ha mai un soldo in tasca, certo non per sé. Riceve offerte dai ricchi, chiede agli avari e consegna ai più bisognosi: si narra che abbia distribuito dai trenta ai quaranta milioni dei suoi tempi.

Per meglio compiere la sua opera studia la grammatica sarda e il vocabolario dello Spano, si fa preparare da Pietro Casu, parroco di Berchidda, un piccolo opuscolo con le espressioni più comuni.

Ama questa terra e vorrebbe fosse prospera e fedele alle sue tradizioni, adora i rosari cantati della Barbagia e del Campidano, i gosos e il Deus ti salvet Maria.

La lotta a “su corrutu”

C’è però in Sardegna un’usanza che Manzella non tollera e contro la quale lotta per tutta la vita, il lutto, su corrutu: una piaga che affligge un popolo già gravato da tanti mali, che costringe a una vita contro natura i parenti dei defunti; quelli più lontani stanno chiusi in casa tre mesi, i più vicini due o più anni. Vittime di questo costume sono per lo più le donne che si costringono all’inattività: sedute accanto al focolare con le gambe incrociate, porte e finestre sbarrate, gli arredi coperti di drappi neri, trascorrono le lunghissime giornate senza né aria né luce. Finito il lutto la salute di queste persone ne risulta compromessa per sempre.

Giovanni Battista intuisce che la causa principe di tale assurdità è da ricercarsi nella paura di essere criticati, fonda l’Associazione della Pietà che invita le iscritte a suffragare i morti andando in chiesa, in questo modo, nonostante le enormi difficoltà, si iniziano a lenire gli effetti della pratica dannosa per il corpo e per lo spirito.

Gli ultimi anni

La gente gli riconosce grandi virtù, gli ultimi anni della sua vita le folle gli si raccolgono intorno: viene chiamato a intervenire per la pacificazione di discordie, per esorcismi su persone e abitazioni, per guarire gli ammalati, per dare consiglio e conforto.

Tutti lo conoscono e lo stimano, la sua vita dura di incessante lavoro termina il 23 ottobre del 1937, quel giorno i sardi hanno perso un padre.

isbe

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